They say that walking melt thoughts, especially if you can do in the open air away from the chaos of the city. They say that helps to make things clear, to understand things, to dispel the fog made of doubts and anxieties. They say.
At night, when the rest of the city sleeps, I like to take my blank paper, locked in a bound folder that has become my treasure chest, and carefully choose a pencil. I like to temper it to make it sharp and severe, as only the night thoughts can be. I reversal in my hands, dab the paper and drawing a scrawl of contemporary art on the edge. All that white gives me anguish, the paper must be soiled with words and signs, must exude emotions and feelings. A white sheet involves vacuum and uncertainty, brings cold and aseptic atmosphere. Sometimes a white sheet is the one that says it all with nothing … Translates the pain of not being able to express the suffering with nothing.
My sheets are filled instead. Of words, signs, drawings and me. My sheets, they smell of me. They bring to surface the daytime thoughts, bring out the beauty that I had the good fortune to live, keep afloat the intense feelings I live and especially they are harmful and burn like the passion that burns within my soul. I keep them with care, jealously, shelter them from the eyes of others, protect them … And then, when I think they have become mature enough, I share them. I give them to the people I love as a gift, that they may have a piece of me, or simply because they can understand how grateful I am to have them in my life.
And just as I thumbed through my sheets I find one, smaller than others. It edges slightly yellowed and was originally the back of a cover of an old book. I will admit that I had completely removed its existence. Handwritten, with my own hand, in the dark blanket of night I read aloud, “And maybe I didn’t like your character, or the way you behave, but I loved you with a love stronger than the desire, more blind than jealousy: so much so relentless, so much so hopeless, that now I could not imagine my life without you. You were part as my breath, my hands, my brain, and give up on you had to give up myself, to my dreams that were your dreams, your illusions that were my illusions, to your hopes which were my hopes, to life, and the love existed, it was not a scam, it was rather a disease, and of these disease I could list all the signs, the phenomena. “Oriana Fallaci. Alexandros Panagoulis, Alekos said. A Man.
How many years have passed and I smile thinking that there are things that don’t go and never change. Then I turn to my right and you are there … It’s not you, not me. We are twin prime numbers.
Carolina
Ph. Isabò
Dicono che camminare sciolga i pensieri, specialmente se puoi fare all’aria aperta lontano dal chaos cittadino. Dicono che aiuti a fare chiarezza, a comprendere le cose, a fugare le nebbie fatte di dubbi e ansietà. Dicono.
La sera, quando il resto della città dorme, mi piace prendere i miei fogli di carta intonsi, chiusi dentro una cartellina rilegata che è diventata il mio forziere, e scegliere con cura una matita. Mi piace temperarla per renderla appuntita e severa, come solo i pensieri notturni sanno essere. La rigiro tra le mani, picchietto la carta e disegno uno sgorbio di arte contemporanea sul bordo. Tutto quel bianco mi restituisce angoscia, la carta deve essere sporcata di parole e segni, deve trasudare emozioni e sentimenti. Un foglio implica vuoto e incertezza, porta freddo e atmosfere asettiche. A volte un foglio bianco è quello che dice tutto con un niente… Traduce il dolore di non riuscire a esprimere con nulla la propria sofferenza.
I miei fogli invece sono pieni. Di parole, segni, disegni e di me. I miei fogli sanno di me. Portano in superficie i pensieri diurni, fanno emergere ciò che di bello ho avuto la fortuna di vivere, tengono a galla i sentimenti intensi che vivo e soprattutto infuocano e bruciano come la passione che arde dentro la mia anima. Li conservo con cura, gelosamente, li riparo dagli occhi altrui, li proteggo… E poi, quando penso siano diventati sufficientemente maturi, li condivido. Li dono alle persone che amo, perché abbiano un pezzo di me o semplicemente perché possano comprendere la mia gratitudine di averli nella mia vita.
E proprio mentre sfogliavo i mie fogli ne trovo uno, più piccolo e consunto degli altri. Ha i bordi lievemente ingialliti ed era in origine il retro di una copertina di un vecchio libro. Voglio ammettere che ne avevo completamente rimosso l’esistenza. Scritto a mano, di mio pugno, nella coltre nera della notte leggo a voce alta ” E forse il tuo carattere non mi piaceva, né il tuo modo di comportarti, però ti amavo di un amore più forte del desiderio, più cieco della gelosia: a tal punto implacabile, a tal punto inguaribile, che ormai non potevo più concepire la mia vita senza di te. Ne facevi parte quanto il mio respiro, le mie mani, il mio cervello, e rinunciare a te era rinunciare a me stessa, ai miei sogni che erano i tuoi sogni, alle tue illusioni che erano le mie illusioni, alle tue speranze che erano le mie speranze, alla vita! E l’amore esisteva, non era un imbroglio, era piuttosto una malattia, e di tale malattia potevo elencare tutti i segni, i fenomeni. ” Oriana Fallaci. Alexandros Panagoulis, detto Alekos. Un Uomo.
Quanti anni sono passati e sorrido pensando che esistono cose che non passano e non cambiano mai. Poi mi giro alla mia destra e sei lì… Non sei tu, non sono io. Siamo numeri primi gemelli.
Carolina
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